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Una certezza dalla COP15: non c’è futuro senza biodiversità


Durante la Conferenza delle Parti sulla biodiversità le 193 nazioni hanno concordato di proteggere un terzo del pianeta entro il 2030 in un accordo storico volto a salvaguardare la biodiversità. Un accordo che però presenta qualche aspetto deludente.

Dopo lo spostamento della sede dalla Cina e il rinvio a causa della pandemia, si è svolta dal 7 al 19 dicembre a Montreal (Canada) la Conferenza delle Parti sulla Biodiversità. L’accordo è arrivato nella mattinata di ieri, 19 dicembre, ed è stato salutato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres con la dichiarazione: "Stiamo finalmente iniziando a stringere un patto di pace con la natura".
Il vertice di Montreal era stato definito da Elisabeth Maruma Mrema, responsabile della biodiversità delle Nazioni Unite, come “l'ultima chance per fermare il declino della natura”. 
 

I punti principali dell’accordo
Durante i colloqui il grande punto critico ha riguardato come finanziare gli sforzi di conservazione, nelle zone del Pianeta a più alta biodiversità. La Repubblica Democratica del Congo aveva sollevato alcune obiezioni, affermando di non poter sostenere l'accordo, ma il presidente della COP15, il ministro dell’ambiente cinese Huang Runqui, lo ha dichiarato comunque approvato. Ecco i punti principali:
    •    Mantenere, migliorare e ripristinare gli ecosistemi, compreso l'arresto dell'estinzione delle specie e il mantenimento della diversità genetica
    •    Promuovere un “uso sostenibile” della biodiversità, ossia garantire che le specie e gli habitat possano continuare a fornire i servizi ecosistemici all'umanità (come cibo e acqua pulita)
    •    Assicurare che i benefici delle risorse naturali, come i medicinali che provengono dalle piante, siano condivisi in modo equo 
    •    Garantire la tutela dei diritti delle popolazioni indigene
    •    Pagare e investire risorse nella biodiversità: garantire che il denaro e gli sforzi di conservazione arrivino dove sono necessari
    •    Impegnarsi a rendere area protetta il 30% del Pianeta, ma tutelando anche le popolazioni indigene
    •    Bonificare il 30% delle terre che risultano ad oggi degradate a causa delle attività antropiche
    •    Ridurre del 50% i rischi legati ai pesticidi

Sono molteplici le dichiarazioni di esperti e politici che guardano alla conclusione della conferenza con molta soddisfazione. "È davvero un momento che segnerà la storia come ha fatto Parigi per il clima", ha detto ai giornalisti il ministro canadese per l'ambiente e il cambiamento climatico Steven Guilbeault. Georgina Chandler, consulente senior per le politiche internazionali della Royal Society for the Protection of Birds, ha affermato che “le persone e la natura staranno meglio grazie all'accordo raggiunto a Montreal”. Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha definito l'accordo “storico” e dichiarato che le persone di tutto il mondo possono sperare in progressi reali per arrestare la perdita di biodiversità.
 

Luci e ombre
Ma, come spesso accade, anche questo accordo è il risultato di un compromesso, frutto di trattative durate 4 anni. E nonostante sia stato accolto con molto entusiasmo, presenta aspetti più deludenti. Ne è convinta Sue Lieberman della Wildlife Conservation Society: sebbene contenesse diversi elementi positivi e combattuti, avrebbe potuto andare oltre “per trasformare veramente il nostro rapporto con la natura e fermare la nostra distruzione di ecosistemi, habitat e specie”. 
Tra i punti dell’accordo che hanno rappresentato i maggiori “risultati al ribasso” c’è il sostegno economico delle nazioni più ricche della Terra nei confronti di quelle più povere e vulnerabili. A fronte dei 100 miliardi di dollari all’anno richiesti inizialmente, l’aiuto sarà invece pari a 20 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2025, e arriverà a 30 miliardi a partire dal 2030. 
Un altro dei principali elementi di delusione è la mancanza di un sistema di monitoraggio degli avanzamenti e dei risultati: senza un meccanismo di controllo si rischia infatti di rendere l’accordo inefficace.
Per quanto riguarda gli impegni che dovranno assumere le imprese private, l’accordo si limita a indicare un “incoraggiamento” a rendere pubblici gli avanzamenti in materia, ma non è stato introdotto un vero e proprio obbligo. 
Non si parla del concetto di impronta ecologica, se non riguardo ai consumi e gli sprechi alimentari che tuttavia non comprendono nessuna indicazione sul sovraconsumo di carne e la necessità di diffondere diete più sostenibili.
Ma c’è anche chi sostiene che per fermare la perdita di biodiversità non sia sufficiente stabilire la quota di aree protette al 30 per cento, ma aumentarla al 50. Ne è un esempio il progetto Half the Earth della E.O. Wilson Biodiversity Foundation del padre della moderna definizione di biodiversità, Edward O. Wilson, scomparso un anno fa. L’assunto si basa sulla teoria della biogeografia insulare, secondo cui il fattore cruciale nella sopravvivenza delle specie è la quantità di habitat adatto a loro disposizione. Un cambiamento nell'area di un habitat si traduce in un cambiamento nel numero di specie che questa può sostenere. Man mano che le riserve crescono di dimensioni, cresce anche la diversità della vita che sopravvive al loro interno. 
 

Cosa comporta la perdita di biodiversità
La perdita di biodiversità, in particolare di foreste e praterie a tassi senza precedenti e con gli oceani sotto la pressione dell'inquinamento, sta mettendo in serio pericolo l’equilibrio degli ecosistemi e, come ben sappiamo, la nostra salute. Aumentano infatti le probabilità di trasmissione di nuovi virus dagli animali selvatici alle popolazioni umane (il cosiddetto spillover).
Non è solo un rischio ambientale e di salute, ma anche economico: in base ai calcoli del World Economic Forum 44.000 miliardi di dollari del Pil globale dipendono direttamente dai servizi ecosistemici. Una riduzione del cosiddetto “capitale naturale” rischia di causare danni ingenti all’economia globale e ai sistemi produttivi.
Insomma, un investimento che non possiamo permetterci di perdere.

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