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Le aree protette ai tempi del nuovo coronavirus, tra minacce e opportunità


Come la pandemia di Covid-19 sta colpendo le aree protette del mondo e da dove dobbiamo ripartire per proteggere la nostra salute e quella del Pianeta

La pandemia di Covid-19 sta cambiando tutto. Anche il nostro rapporto con la natura. Lo spillover di cui tanto si è parlato in questi mesi dovrebbe averci insegnato che la nostra salute è strettamente connessa a quella degli ecosistemi e che per tutelare il nostro benessere e il nostro futuro non possiamo dimenticarci della salvaguardia dell’ambiente. In questo scenario le aree protette giocano un ruolo essenziale: sono fondamentali per arrestare la perdita di biodiversità e grazie al mantenimento dell’integrità degli ecosistemi riducono il rischio di zoonosi – ovvero la trasmissione di malattie infettive dagli animali all'uomo – future. Tuttavia anche le aree protette non sono esenti dagli effetti della pandemia. Una pubblicazione internazionale ha delineato i primi impatti negativi che hanno subito questi luoghi, ma anche le opportunità per una ripartenza.

 

Nei periodi di lockdown dei vari paesi moltissime aree protette e parchi sono rimasti chiusi al pubblico. Seppure non ci siano ancora stime precise, sappiamo che i siti patrimonio dell’UNESCO sono stati completamente chiusi ai visitatori nel 72% dei 167 paesi che li ospitano.
Prima della pandemia le aree protette di tutto il mondo ricevevano circa 8 miliardi di visite all’anno, che generavano approssimativamente 600 miliardi di dollari di introiti diretti. Questi ingressi si sono però interrotti con l’arrivo della Covid-19: la grave perdita di entrate turistiche ha causato la riduzione del personale e dei programmi in molti parchi. E in alcuni casi anche delle attività di controllo dei ranger, delle ricerche e dei monitoraggi sul campo.

 

Se da una parte i traffici illegali internazionali hanno molto probabilmente subito un calo a causa del lockdown e delle restrizioni di viaggio, a livello locale alcune attività come la caccia e la pesca illeciti sono aumentate anche nelle aree protette per i minori controlli e per la necessità di sussistenza delle comunità locali private di altre entrate economiche. Da alcuni paesi come Cambogia, India, Costa Rica arrivano dati preoccupanti sull'aumento del bracconaggio mentre in Tunisia il disboscamento è aumentato di dieci volte. Molte comunità rurali infatti basano il loro sostentamento su piccole e medie imprese associate al turismo e altre attività connesse alle aree protette. Secondo una recente indagine sugli operatori turistici dei safari in Africa, più del 90% ha subito una riduzione di oltre il 75% delle prenotazioni. Con inevitabili ripercussioni sull’economia e sull’impiego locale. E così anche in Nepal, dove l’interruzione delle attività di trekking e arrampicata sul Monte Everest ha influito sull'occupazione degli sherpa e sugli esercizi che riforniscono di scorte i visitatori.


La pandemia e le sue conseguenze potrebbero minare decenni di sforzi di conservazione. Ma questa crisi può essere anche una grande opportunità, per un nuovo approccio economico e politiche verdi e inclusive che assicurino una ripresa sostenibile, a tutti i livelli. Mentre i governi cercano di rilanciare le economie, sarà importante proteggere i fondi dedicati all’ambiente e incentivare le misure di protezione delle risorse naturali. Un cambio di rotta verso un modello di sviluppo attento alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità. Anche le aree protette hanno bisogno di misure di emergenza e piani di recupero, per rafforzare i programmi di tutela ambientale e prevenire nuove pandemie.


Photo credit: Ismail Menteş
 

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