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Coronavirus e inquinamento atmosferico


Quali impatti ha avuto (e avrà) la crisi sanitaria sull'ambiente

Zone rosse, riduzione degli spostamenti, lockdown. A partire dallo scorso 23 gennaio, la progressiva adozione di misure di contenimento della diffusione del virus Covid-19 ha rivoluzionato le nostre vite. Ma la variazione delle nostre abitudini come ha influito sull’ambiente?
I primi dati arrivano ovviamente dalla Cina dove le stime parlano di una diminuzione del 25% delle emissioni di anidride carbonica nel mese di febbraio, che corrispondo a circa 200 milioni di tonnellate di CO2 in meno in atmosfera. A dare ulteriore conferma della riduzione dell'uso di combustibili fossili sono le misurazioni satellitari di NO2, un inquinante atmosferico strettamente associato al settore dei trasporti: nella settimana dopo il 25 gennaio, il capodanno cinese, i livelli medi sono stati inferiori del 36% rispetto allo stesso periodo del 2019.


In Italia i vari decreti emanati dal Governo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus hanno portato a un calo dei consumi energetici in ogni settore: da quello petrolifero, dovuto alla riduzione dell’utilizzo dei mezzi di trasporto privati e per lo spostamento delle merci, ai consumi di energia elettrica nell’intero Paese.
La riduzione drastica degli spostamenti e delle attività umane ha causato un abbassamento delle emissioni di biossido d’azoto (NO2) in Pianura Padana, confermato sia dai dati registrati a terra che da quelli satellitari.
NO2 è un inquinante che ha una breve persistenza in atmosfera, generalmente meno di un giorno: ciò significa che rimane vicino a dove è stato emesso. Oltre al traffico veicolare, le emissioni derivano dalla produzione di energia, dal riscaldamento delle case e dalle industrie. Viste le sue caratteristiche, l'effetto della riduzione delle emissioni è più immediato ed evidente, come confermato anche dai dati della Regione Lombardia.
Riguardo ai valori di PM10 e PM2.5, le cosiddette polveri sottili, le concentrazioni non sono influenzate solo dalle emissioni dirette ma anche dalla formazione secondaria di particolato a seguito di reazioni chimico-fisiche in aria. In un trend generale di diminuzione dei valori registrati in Lombardia, alcuni episodi hanno evidenziano la complessità dei fenomeni che interessano questi inquinanti, come la possibilità di trasporto su larga scala e l’influenza delle condizioni meteorologiche. Le riduzioni di alcune sorgenti non sempre hanno impedito il superamento dei limiti. Per esempio tra il 28 e 29 marzo le concentrazioni di PM10 sono risultate molto elevate a causa del trasporto di polvere di origine desertica proveniente dalla zona del Lago d’Aral, in Asia Centrale.


Pessimisti e ottimisti climatici


Molti hanno letto i dati relativi all’inquinamento atmosferico come un segnale positivo: questa terribile crisi potrebbe darci l’occasione per mettere in discussione le nostre abitudini e ripartire dopo questa pausa forzata con una serie di misure economiche mirate a una transizione energetica e a reinvestimenti green. Un aiuto essenziale per affrontare la crisi climatica.
Altri hanno invece fatto notare la natura illusoria di questo momento dimostrando che, se guardiamo oltre il breve periodo, la ripresa economica potrebbe portare a un aumento delle emissioni come è già successo in passato dopo altre crisi economiche.
La verità è che non sappiamo ancora come questa situazione si evolverà, purtroppo sia dal punto di vista sanitario che da quello ambientale. Parliamo però di decisioni politiche ed economiche di cui non possiamo prevedere la direzione.


Prendiamo due esempi pratici. Sappiamo che tra i settori più colpiti da questa emergenza c’è quello turistico e in particolare il mondo delle navi da crociera. Sappiamo anche che queste hanno un grande impatto sulla qualità dell’aria dei porti turistici di tutto il mondo. Eppure pare che gli Stati Uniti siano pronti a stanziare un intervento pubblico per il salvataggio di questo settore.
Anche nel settore petrolifero la crisi del coronavirus si fa sentire. Metà della popolazione mondiale è chiusa in casa a causa della pandemia e la domanda petrolifera si è ridotta di un quarto. I prezzi sono crollati, complice anche il mancato accordo sulla diminuzione della produzione tra i grandi di questo settore. Russia e Arabia Saudita hanno deciso di non interrompere la produzione, anzi: la hanno addirittura aumentata. Mentre le grandi potenze cercano un accordo si profila la prospettiva di un intervento pubblico futuro degli Stati Uniti per salvare dalla crisi l’industria del fracking che estrae petrolio dalle rocce di scisto attraverso fratturazione idraulica.


Intanto in Cina si lavora sul quattordicesimo piano quinquennale, cioè sulla strategia per lo sviluppo economico e sociale del Paese nel periodo 2021-2025. Uno dei più importanti documenti che dovrebbe contenere misure concrete in risposta alla crisi climatica globale. Il timore è che la lotta contro la pandemia di Covid-19 allenti gli interventi a favore del clima per sostenere la ripresa economica.

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