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Nella tana dell’orso


Al di là delle favole

L’incontro con l'orso bruno: un evento raro da affrontare con rispetto
In Italia, così come in molte altre parti d'Europa, gli orsi devono adattarsi a un ambiente in cui l'uomo ha modificato il paesaggio, l’uso del territorio e costruito in aree prima naturali. A causa delle ampie necessità di spazio degli orsi e della limitata estensione delle aree protette, la coesistenza con le attività umane diventa quindi inevitabile. In questo contesto, è ragionevole pensare che un aumento della densità di orsi porti a più incontri con gli esseri umani: di conseguenza, diventa statisticamente maggiore il rischio di possibili attacchi, seppure restino assai rari. 
L'orso è un animale di natura pacifica e la sua aggressività è legata principalmente alla paura nei nostri confronti. Alcuni fattori influenzano più di altri la reazione degli orsi in determinate situazioni: per esempio la presenza di un cane, o se una femmina ritiene che la fuga non sia sufficiente per proteggere i suoi piccoli. In questi casi potrebbe reagire istintivamente combattendo per neutralizzare la presunta minaccia. La comprensione di questi fattori è essenziale per promuovere la convivenza tra esseri umani e orsi.
Per evitare sorprese nelle aree frequentate dagli orsi, è dunque di norma sufficiente fare rumore, specialmente prima di entrare in zone con vegetazione densa o in zone con poca visibilità. Negli Stati Uniti usano attaccare un campanellino allo zaino, ma una camminata “pesante”, facendo rumore su foglie e rami secchi, è solitamente altrettanto efficace nel far percepire la presenza umana agli orsi. Seguire una traccia è fortemente sconsigliato, poiché si rischia di sorprendere o spaventare l’animale. Inoltre, se si avvista un orso a distanza e si può abbandonare l'area senza disturbarlo, è consigliabile farlo anziché avvicinarsi. Questo consiglio vale soprattutto se si tratta di piccoli, poiché la madre potrebbe trovarsi nelle vicinanze.
 

L'orso bruno in Europa e in Italia: una storia antica e travagliata
La storia dell'orso bruno (Ursus arctos) è una storia molto antica. Per raccontarla dobbiamo tornare indietro nel tempo di almeno un milione di anni, quando il suo lignaggio ha iniziato a separarsi da quello dell’orso delle caverne (Ursus spaeleus) (Mónica Villalba de Alvarado, 2022). A raccontarcelo è il più antico (ad oggi) fossile di questa specie, rinvenuto in Cina e risalente al Pleistocene medio (770 mila anni fa). Da qui la paleontologia ci dice che si è diffuso in Alaska, nord Africa ed Europa, dove i suoi più antichi resti sono stati scoperti a Caune del'Arago (Francia) e datati a circa 550-400 mila anni fa (de Lumley, 2000) (Moigne, 2006).
La prima grande riduzione del numero di orsi bruni è iniziata all'epoca dell'Impero Romano, per poi diminuire drasticamente nel corso del XIX secolo a causa della diffusa deforestazione e dell'aumento delle persecuzioni. Da allora molte popolazioni si sono estinte, in particolare nelle regioni di pianura con alti livelli di conflitto tra l’uomo e l’orso. 
In Italia, l'orso bruno ottenne la sua prima protezione nel 1923 con la creazione del Parco nazionale d'Abruzzo, dove ne fu vietata la caccia. Ma solo nel 1939 l'orso fu effettivamente tutelato in tutta Italia, grazie al Testo unico sulla caccia promosso dal senatore Gian Giacomo Gallarati Scotti. 
Ad oggi nel nostro Paese sono presenti due popolazioni: quella delle Alpi centro-orientali e quella appenninica.
Quella dell’Appennino centrale è composta da circa 50-60 esemplari appartenenti alla sottospecie marsicana (Ursus arctos marsicanus), distribuiti principalmente nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e in altre aree protette limitrofe (D'Amico, 2023). Questa piccola popolazione è considerata in pericolo critico a causa della ridotta capacità di dispersione, della mortalità legata all’impatto antropico e della scarsa variabilità genetica. 
Sulle Alpi l’orso bruno è invece presente con due nuclei: il primo centrato sul Trentino occidentale e il secondo tra il Friuli orientale e il confine con la Slovenia. Sulle Dolomiti di Brenta, negli anni ’90 non ne rimanevano che un paio di individui: una condanna certa all’estinzione. A partire dalla seconda metà degli anni ‘90, grazie al progetto europeo “Life Ursus – tutela della popolazione di orso bruno del Brenta", promosso dal Parco naturale dell'Adamello Brenta in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento e l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, il numero di orsi nel territorio del Parco è aumentato fino a circa un centinaio di individui attuali (Groff C., 2023). Oltre 50 orsi tra il 2005 e il 2021 si sono avventurati al di fuori della provincia di Trento (Fonte: rapporto Grandi Carnivori di vari anni), vagando tra Germania, Austria, Svizzera, Slovenia. 
 

Convivenza uomo-orso: un equilibrio da ricostruire
La condivisione degli spazi tra uomini e orsi porta sovente a conflitti, poiché questi ultimi possono causare danni alle attività umane (allevamento, apicoltura, agricoltura), e frequentare zone inadatte come centri abitati. Sebbene sia possibile minimizzare gli impatti attraverso la prevenzione e mitigare i conflitti con strategie condivise con le comunità locali, eliminare completamente sia gli impatti che i conflitti rappresenta una sfida difficile. Ne abbiamo parlato qui.

Mai come oggi la convivenza tra uomo e specie selvatiche si basa su un delicato equilibrio tra posizioni contrastanti, spesso strumentalizzate da politica e media. Ma dietro la visione “disneyana”, di chi vede nella natura selvaggia solo l’aspetto emozionale, e la visione antropocentrica di chi crede che qualunque fattore fuori dal nostro controllo sia un pericolo, esiste una complessità intrinseca fondamentale per comprendere quale sia la strada della coesistenza. Ed è nostro compito percorrerla, nell’interesse di tutti.
 

Riferimenti
D'Amico, a. c. (2023). Rapporto Orso Marsicano 2022. Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise. Tratto da www.mammiferi.org: https://www.parcoabruzzo.it/pdf/NatProtetta26.pdf
de Lumley, H. F. (2000). Cadre stratigraphique, géochronologique et paléoclimatique du Pléistocène inférieur et moyen dans le midi méditerranéen de la France d’après l’étude des formations quaternaires des sites préhistoriques: Le Vallonnet, La Caune de l’Arago, Terra Amata, Orgn. In Les premiers habitants de l’Europe (p. 31).
Groff C., A. F. (2023). Rapporto Grandi Carnivori 2022 del Servizio Faunistico della Provincia Autonoma di Trento”. Trento: Provincia Autonoma di Trenoto - Settore Grandi Carnivori.
Moigne, A.-M. P.-B.-A. (2006). Les faunes de grands mammifères de la Caune de l'Arago (Tautavel) dans le cadre biochronologique des faunes du Pléistocène moyen italien. L'Anthropologie, 110, 788–831.
Mónica Villalba de Alvarado, H. C.-O. (2022). Looking for the earliest evidence of Ursus arctos LINNAEUS, 1758 in the Iberian Peninsula: the Middle Pleistocene site of Postes cave. Boreas, 51, 159-184.

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