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Vivere con la wilderness: la vita sulle montagne in compagnia dell’orso bruno


Imprigionato tra le posizioni contrastanti di un’opinione pubblica completamente discorde, l’orso si ritrova al centro di una strumentalizzazione politica e mediatica che non nuoce solo a questo animale, ma a tutte le comunità umane che ne condividono il territorio

La convivenza tra uomo e specie selvatiche non è mai stata facile, né 200 mila anni fa né oggi e, se da una parte provoca conflitti, dall’altra genera nell’immaginario collettivo una visione “fantastica” dove la meraviglia per la natura selvaggia non lascia posto alla comprensione di una realtà molto più complessa di come appare. 
Negli ultimi anni – e in particolare negli ultimi mesi – si è sentito parlare spesso di incontri con orsi. L’ultimo fatto di cronaca riguarda l’orsa JJ4, ribattezzata Gaia, il cui incontro coni due cacciatori lo scorso giugno sul monte Peller (Dolomiti di Brenta) è stato protagonista di molti articoli sul web e la carta stampata. Abbiamo voluto approfondire la questione e abbiamo chiesto a Filippo Zibordi di darci una mano a comprenderla meglio. Naturalista, esperto conservazionista e comunicatore, svolge da più di 20 anni attività di ricerca sui grandi carnivori e, dopo aver lavorato per 13 anni al Parco Naturale Adamello Brenta nell’ambito del progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino, oggi si occupa anche di progetti di salvaguardia di altre specie di orsi nel mondo per conto di Istituto Oikos.

Filippo, cosa ne pensi dell’incontro di Gaia? Quali sono state le dinamiche?

L’idea che mi sono fatto, pur non avendo parlato direttamente con gli aggrediti, cui ovviamente va tutta la mia solidarietà, è che si sia trattato della reazione di un orso che è stato colto di sorpresa. L’area dove è avvenuto l’incontro è, in questi mesi, una di quelle a più alta densità di orsi del Trentino. Ci sono femmine, alcune delle quali accompagnate da cuccioli, e conseguentemente maschi che sperano di accoppiarsi.

Può essere quindi stata una reazione di difesa dei cuccioli? Sappiamo se Gaia/JJ4 ne ha?

Le indagini condotte dal Corpo Forestale del Trentino hanno confermato che JJ4 era in compagnia dei suoi 3 cuccioli: il DNA trovato nel luogo dell’aggressione è infatti lo stesso della femmina catturata, munita di radiocollare e rilasciata il 29 luglio scorso.
In ogni caso dobbiamo considerare che l’attacco all’uomo da parte di un orso bruno, anche senza la presenza di cuccioli, è un evento estremamente improbabile, ma non certo impossibile. Stiamo infatti parlando di animali selvatici che, quando spaventati o colti di sorpresa, possono rimanere immobili per capire cosa stia succedendo (quello che gli inglesi chiamano freezing, irrigidimento), scappare se ne hanno la possibilità (flight) o combattere (fight). Esistono dei fattori che rendono più probabile una reazione rispetto a un’altra: ad esempio, se una femmina valuta che non riuscirà a mettere in salvo i suoi cuccioli semplicemente scappando, istintivamente si batterà fino a “rendere innocua” la supposta fonte di pericolo. Un altro fattore che può aumentare la probabilità di un attacco è la presenza di un cane, mentre è assolutamente raro che un orso bruno attacchi un bambino, probabilmente perché lo percepisce appunto come un essere innocuo. A conferma di tutto ciò, uno studio condotto dal Parco Adamello Brenta su 350 incontri uomo – orso avvenuti in Trentino ha dimostrato che la reazione prevalente dell’orso (60% circa degli incontri) è quella di allontanarsi più o meno rapidamente dall’avvistatore. 

Sembra che gli incontri con gli orsi si siano moltiplicati negli ultimi anni: è così?

L’incontro con l’orso è un evento raro, l’attacco è rarissimo. Per confermarlo basta pensare a quante persone frequentano i boschi del Trentino, quanto pochi siano gli avvistamenti diretti e quante le aggressioni: 4, forse 5, negli ultimi 20 anni, ossia da quando è stato avviato il progetto di reintroduzione Life Ursus. Statisticamente, gli incontri sono rari e le aggressioni irrilevanti, anche se evidentemente queste ultime sono eventi traumatici per chi le subisce e assumono grande enfasi nei racconti dei mass media. È chiaro che, a rigor di logica, più aumenta la densità della popolazione di orsi, più aumentano le occasioni di incontro e, sempre a livello statistico, anche la possibilità che questi si traducano in un attacco. Va però tenuto presente che l’orso è un animale dall’indole pacifica, la cui aggressività è sostanzialmente legata alla paura nei nostri confronti. Lo conferma anche il fatto che i plantigradi mettano in atto i cosiddetti “falsi attacchi”, atteggiamenti di minaccia durante i quali l’orso “carica” il suo oppositore nel momento in cui si sente in pericolo, ma che si concludono con l’allontanamento spontaneo dell’orso e senza contatto diretto. 

Come dobbiamo comportarci durante un’escursione in una zona ad alta densità di orsi?

Come spiego dettagliatamente nel mio libro “Gli orsi delle Alpi” (BLU Edizioni), bisogna partire dalla consapevolezza che molte persone che vivono o lavorano nelle aree frequentate dagli orsi non ne hanno mai incontrato uno. Per evitare ogni possibile sorpresa è comunque sufficiente fare rumore, in particolare prima di addentrarsi nelle zone dove la vegetazione è più fitta. In qualche area, soprattutto in USA, va di moda attaccare un campanellino allo zaino ma in realtà sulle Alpi una camminata “pesante”, calpestando rumorosamente foglie e rami secchi, è sufficiente per far percepire la propria presenza dal fine udito dei plantigradi. Qualora ci si imbatta in una traccia, è decisamente sconsigliato seguirla nel tentativo di avvistare l’orso: si rischierebbe di sorprenderlo o di spaventarlo. Per motivi analoghi, nel caso di un avvistamento a grande distanza, è molto più saggio godersi lo spettacolo da lontano.

Quindi quali sono le misure da adottare per rendere possibile la convivenza tra uomini e orsi?

Sulle Alpi, come in gran parte d’Europa, gli orsi sono costretti a sopravvivere in un mondo dominato dall’uomo. Le loro ampie esigenze spaziali, nonché la ridotta estensione delle aree protette, rendono inevitabile la loro coesistenza con le attività antropiche. Vista l’elevata densità umana, per sopravvivere sulle Alpi gli orsi devono, in altre parole, frequentare territori in cui l’uomo vive, lavora, si sposta, pratica sport. In un contesto del genere, è naturale che si generino conflitti: l’orso può infatti causare danni alle attività umane, in particolare alla zootecnia, all’apicoltura e all’agricoltura, e frequentare aree dove la sua presenza è inopportuna, come i centri abitati. Gli impatti possono essere minimizzati attraverso opere di prevenzione e i conflitti mitigati attraverso la messa in atto di strategie condivise con le popolazioni umane residenti, ma né gli uni né gli altri possono essere del tutto eliminati. È questa la sfida che i cittadini delle Alpi si trovano ad affrontare nel contesto del ritorno dei grandi carnivori. 
Nello specifico, in Trentino la gestione dell'orso viene attuata attraverso una strategia che prevede varie azioni di dissuasione nei confronti degli orsi “dannosi” (ossia quelli che arrecano ripetutamente danni materiali) e “pericolosi” (orsi che costituiscono un pericolo per l’uomo). Il PACOBACE (Piano d'Azione interregionale per la Conservazione dell'Orso bruno nelle Alpi centro-orientali), ratificato dal Ministero dell’Ambiente e da tutte le regioni e province autonome dell’arco alpino italiano, prevede una scala di problematicità dei comportamenti dell'orso e una serie di azioni di risposta: “leggere” ed “energiche”. Le prime contemplano l’attivazione di presidi da parte di personale specializzato (squadre di emergenza) e la dissuasione (ad esempio mediante l’uso di pallottole di gomma e cani da orso); le seconde prevedono la cattura dell’animale con rilascio allo scopo di radiomarcaggio, la cattura per trasferimento permanente in cattività fino all’abbattimento. Queste ultime azioni sono previste, per esempio, quando un orso segue intenzionalmente delle persone o quando attacca senza essere provocato. Recentemente, la possibilità di attuare risposte “energiche” è stata allargata, in Italia, anche agli orsi che provocano danni ripetuti al bestiame, qualora le misure di prevenzione o di dissuasione non siano attuabili o risultino inefficaci.

Alla luce delle difficoltà di gestione che ci sono oggi, cosa diresti a chi afferma che l’orso non avrebbe dovuto essere reintrodotto nell’arco alpino centrale?

Il progetto di reintroduzione dell’orso sulle Alpi Centrali è considerato un successo, a livello mondiale, in termini di conservazione della biodiversità: come era nelle previsioni fatte alla fine degli anni Novanta, gli orsi si sono ben adattati al territorio e riprodotti fino a raggiungere la quota di circa 100 individui. La presenza degli orsi, come previsto e come accade ovunque vi siano plantigradi, necessita però di essere gestita, attraverso le misure cui accennavamo prima, e tramite adeguate campagne informative e di sensibilizzazione. Se invece si riducono i fondi a disposizione per la conservazione della specie e si mette il bavaglio alla comunicazione, il risultato è l’aumento del conflitto con l’uomo.  
Per quanto mi riguarda, avendo avuto l’opportunità di dare il mio pur piccolo contribuito al progetto di reintroduzione, l’aver conservato l’orso sulle Alpi è un segno importante: una testimonianza del fatto che l’umanità sa porre rimedio ai propri errori. E gli orsi, animali di grande importanza dal punto di vista sia ambientale che culturale, stanno lì a ricordarci che le montagne e i boschi non sono né il nostro giardino né un parco divertimenti. 

Che cosa prevedi per il futuro degli orsi delle Alpi?

È probabile che la popolazione di orsi delle Alpi Centrali cresca ancora, ma che questa crescita porti i plantigradi a occupare altre aree rispetto a quelle maggiormente frequentate oggi. In particolare, si auspica che le femmine possano stabilirsi in zone situate al di fuori del Trentino occidentale (Lombardia, Alto Adige, Veneto, Svizzera, Tirolo), in modo che poi i maschi le “seguano”, e che dunque le densità di orsi sul territorio trentino possano diminuire. Questo è il dato positivo. 
Tre fattori invece destano preoccupazione. Il primo è l’alto grado di inbreeding, cioè consanguineità, tra gli esemplari del nucleo trentino, che sono tutti figli di due soli padri: Joze e Gasper, due maschi fondatori portati in Italia dalla Slovenia all’inizio degli anni 2000. Il secondo fattore è la presenza di “barriere ecologiche” che in questi anni hanno reso molto difficile gli spostamenti e le connessioni tra il nucleo di orsi delle Alpi Centrali e la popolazione sorgente della Slovenia. Il terzo fattore, infine, è la crescente strumentalizzazione che dell’orso viene fatta da parte di partiti politici e mass media: affascinante sintesi di contrasti, tra forza e delicatezza, aggressività e dolcezza, l’orso si ritrova ancora oggi stritolato tra una opinione pubblica schierata su due fronti estremi. Da una parte i trentini spaventati dalla possibilità di avere nel “loro” bosco una presenza potenzialmente pericolosa, dall’altra il resto del Paese, innamorato di un’idea di wilderness lontana dalla realtà di chi vive nelle “terre alte”.

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