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Cop24: un accordo che non è abbastanza


Sono molti i punti di domanda e le questioni che restano in sospeso dopo l’approvazione dei testi della 24° conferenza sul clima delle Nazioni Unite

La 24° Conferenza delle Parti, riunita a Katowice (Polonia) dal 3 al 14 dicembre scorsi all’interno della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, non ha portato ai risultati attesi da gran parte della comunità internazionale. L’appuntamento aveva l’obiettivo di definire le azioni da mettere in atto per concretizzare l’Accordo di Parigi, trattato globale con cui 195 capi di Stato e di governo si sono impegnati a reagire davanti alla sfida globale dei cambiamenti climatici attraverso azioni comuni. Ma l’entusiasmo che ha contraddistinto la firma del trattato del 2015 non ha caratterizzato le negoziazioni di questi quindici giorni di discussioni intense, in cui questioni controverse hanno messo a rischio il raggiungimento di un’intesa. 
Alla fine, dopo una giornata in più di dibattito rispetto al programma iniziale, il Paris Rulebook o Katowice Climate package è stato approvato, chiarendo alcuni punti cruciali per l’implementazione degli impegni assunti nelle scorse COP. Viene ribadita la decisione per cui i Paesi sviluppati, responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 rilasciate nell’atmosfera, devono supportare finanziariamente i Paesi del Sud del mondo, che invece subiscono la maggior parte delle conseguenze negative dei cambiamenti climatici. Viene poi stabilito il principio di trasparenza su come realizzare gli impegni riguardanti la riduzione delle emissioni: ogni Paese dovrà presentare ogni due anni un inventario nazionale sulle emissioni, e su come sviluppare e rinforzare questi impegni.
Sono molte però le questioni che restano aperte. Prima fra tutte, l’assenza di riferimenti al tema dei diritti umani, della giustizia ambientale e intergenerazionale, nonostante l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite abbia preso parte quest’anno, per la prima volta, alla COP24. Non solo: non vi è alcuna chiarezza su come contabilizzare i 100 miliardi di dollari l’anno previsti come aiuti per i Paesi più vulnerabili. Durante la conferenza c’è poi stato un vero e proprio scontro sull’ultimo rapporto del Panel Intergovernamentale sui Cambiamenti Climatici (IPCC). Il documento non è stato accolto favorevolmente da tutti i capi di Stato presenti: il rischio è che la raccomandazione degli esperti non venga ascoltata, e che la temperatura atmosferica aumenti addirittura di 3°.
Considerando le tempistiche e le difficoltà di far convergere gli interessi dei leader politici internazionali, non si può negare che qualche risultato sia stato raggiunto. Ma le aspettative (e le speranze) di chi sottolinea la necessità di un vero cambio di paradigma di fronte alla sfida dei cambiamenti climatici sono rimaste deluse, perché la conferenza non ha portato alla definizione di un vero e proprio programma d’azione comune.
Le iniziative della società civile per reagire agli effetti negativi del riscaldamento globale non mancano, ma è necessario che queste trovino sostegno da parte delle istituzioni affinché si inneschino dei veri cambi strutturali nei modelli di produzione e consumo, e non solo. Preso atto del divario tra la volontà di cambiamento di gran parte della comunità internazionale e di chi ancora si oppone o rifiuta di riconoscere l’urgenza di questa minaccia globale, si può affermare che a Katowice qualche passo in avanti sia stato fatto. Ma è fondamentale che ognuno continui a credere che una trasformazione sia possibile. Quella trasformazione che, secondo la giovane attivista svedese Greta Thunberg, è già in atto.  
Del resto, le questioni globali che i rappresentanti politici di tutti i Paesi devono affrontare in sinergia sono sempre più numerose e sempre più urgenti. Ma se su interessi politici ed economici le strategie possono divergere, come può la visione non essere comune quando si parla del benessere di tutta l’umanità e del pianeta su cui tutti viviamo?

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