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Una siccità senza precedenti sta colpendo l’Africa Orientale


Le emissioni di anidride carbonica nei paesi industrializzati sono tra le principali cause degli effetti più estremi dei cambiamenti climatici. Che in Tanzania stanno lasciando milioni di persone senza cibo, acqua, risorse.

Efrem è un artigiano che lavora il ferro. Deve farlo di notte, a giorni alterni, e in orari ridotti. Il suo volume d’affari, e di conseguenza il suo indotto, si è dimezzato. E ciò accade perché non piove. Perché in Tanzania l’energia elettrica è generata dall’idroelettrico. E così nelle zone urbane della Tanzania, e ad elevata produttività, i generatori portatili scuotono i palazzi costruiti con materiali modesti. A Dar es Salaam, la città con una crescita urbana più elevata al mondo, manca l’acqua in molte zone residenziali, da settimane. Nei quartieri più ricchi le famiglie acquistano autocisterne, a caro prezzo, un prezzo che non è accessibile ai più. Oggi l’acqua è razionata per tutti i 5,3 milioni di residenti della città più popolosa dell’Africa Orientale. L’emergenza prosegue in queste settimane.

Quattro stagioni della pioggia con precipitazioni assenti o molto inferiori alla norma hanno messo in ginocchio la Tanzania. Il bestiame, la fauna selvatica e ora anche le persone stanno morendo di sete: la situazione è particolarmente grave in alcuni distretti del centro e del nord del paese, dove Oikos opera. 

Crescita demografica e cambiamenti climatici
Ad aggravare il quadro, una crescita demografica fra le più alte al mondo. La popolazione è aumentata del 37% in 10 anni: la Tanzania è una delle otto nazioni responsabili per più di metà dell’aumento della popolazione mondiale. Tutto questo esaspera gli effetti dei cambiamenti climatici: infrastrutture e servizi limitati, uniti a un aumento della domanda che anche un paese avanzato farebbe molta fatica a soddisfare. 61,5 milioni di persone che hanno bisogno di cibo e acqua, risorse che dipendono dalla pioggia. Una pioggia che fallisce, che inonda e che asseta a seconda delle stagioni. 


La siccità che minaccia la produzione di cibo, gli ecosistemi e la biodiversità
Le mappe prodotte da ICPAC (IGAD Climate Prediction & Applications Centre - https://www.icpac.net), il centro che monitora e offre servizi climatici gratuiti, parlano chiaro. Osservando queste prime due immagini si nota come da Jibouti alla Tanzania passando per Somalia, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, il rischio di piogge estremamente abbondanti si alterna al rischio di grave siccità, con una distribuzione a macchia di leopardo.

siccità
alluvioni tanzania

Le mappe restituiscono un quadro desolato. Persino durante la stagione delle piccole piogge, che avrebbero dovuto cadere da settembre a metà novembre, in Tanzania la maggior parte dei coltivi soffre gravi deficit idrici. E nelle zone con piovosità a distribuzione unimodale, dove piove da novembre a maggio, la situazione è simile. 
Nelle zone semi aride del nord del paese, lungo i confini con il Kenya, si vede chiaramente una fascia rossa: qui sono a rischio anche le savane, ecosistemi preziosissimi per la biodiversità e il sostentamento di intere comunità pastorali.

siccità tanzania

Chi paga il prezzo più alto dell’emergenza?
In moltissimi villaggi le famiglie hanno ridotto il consumo di cibo a un pasto al giorno; a causa del deperimento degli animali il prezzo di una vacca è sceso dal corrispettivo in TSh di 143 euro a 16 euro, mentre il costo di 100 kg di mais è salito da circa 36 euro a luglio 2022 a poco meno di 42 euro (prima settimana di novembre 2022). 

Non ci sono ancora stime ufficiali sul numero di capi di bestiame morti di fame e di sete. Ciò che è certo è che nei villaggi in cui Oikos opera uomini e bestiame sono scomparsi alla ricerca di risorse per sopravvivere, lasciando senza risorse le donne – che in media nel paese hanno quasi 5 figli, più del doppio della media mondiale – e bambini. 
 


COP27: un’occasione sprecata
Tutto questo non è che l’ulteriore conferma di come le emissioni di CO2 nei paesi industrializzati stiano provocando effetti sempre più devastanti in molte parti del mondo.
E che a pagare il prezzo delle conseguenze dei cambiamenti climatici sono fin troppo spesso le zone del mondo più svantaggiate, e con meno risorse per fronteggiarne le crisi che ne conseguono.
In questo senso, la COP27 rappresenta un’occasione mancata. Avrebbe potuto rappresentare un momento importante per stabilire azioni di mitigazione coraggiose ed efficaci, ma gli accordi su questo fronte sono invece scoraggianti: nulla di fatto sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili, né sul contenimento entro il 2025 del picco delle emissioni inquinanti. Anche sull’uso del carbone non è stata stabilita alcuna restrizione più severa. 

Ogni aumento (o diminuzione) della temperatura media globale di 0.1 gradi produce impatti fenomenali, e si traduce in un grande successo o una grave perdita. Nonostante questo, la promessa di limitare l’aumento delle temperature a 1,5 C è probabilmente sfumata, perché il testo finale è molto generico riguardo all’impegno dei paesi di contenere l’aumento delle temperature entro questa soglia.
L’unico risultato incoraggiante della Conferenza sul clima di Sharm-el-Sheik è l’istituzione del fondo “Loss and damage” per la compensazione dei danni climatici per i Paesi del Sud del mondo più vulnerabili, che dovrà essere operativo entro la COP28.
È un risultato mai raggiunto prima: perché per la prima volta i Paesi emergenti e vulnerabili hanno ottenuto che l’Occidente portasse l’attenzione sulle loro posizioni. Eppure non è stato stabilito di quanti soldi disporrà il fondo, chi dovrà metterli, da dove proverranno e quali paesi ne beneficeranno.

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