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Creme solari e inquinamento marino: per proteggerci dal sole stiamo mettendo a rischio gli oceani


Dopo le isole Hawaii, i Caraibi, il Messico e alcuni piccoli stati insulari dell’Oceano Indopacifico, recentemente anche la Tailandia ha messo al bando (alcune) creme solari sul proprio territorio. Il Thai Department of National Parks, Wildlife and Plant Conservation ha stabilito multe fino a 2500 euro per chi usa prodotti contenti le sostanze vietate

Mai come in questi ultimi due anni abbiamo atteso le vacanze: sole, spiagge, mare o montagna. E per esporsi ai raggi solari sappiamo tutti quanto sia importante la protezione. Tuttavia alcuni ingredienti contenuti nelle creme protettive causano danni gravissimi agli ecosistemi marini. Ma quali sono queste sostanze? Che impatto hanno sull’ambiente? Quali sono le alternative? 

Come funziona la protezione solare
I filtri solari utilizzati nelle creme protettive possono essere di due tipi. Composti organici (che contengono carbonio legato ad altri elementi come idrogeno e ossigeno), come l’acido amminobenzoico (se nell’INCI di una crema trovate la sigla PABA, si tratta di questo composto); oppure inorganici, come l’ossido di titanio o di zinco, usati nei prodotti minerali.
Questi composti hanno la funzione di schermare dai raggi ultravioletti, in particolare i raggi UVB. Il fattore di protezione (SPF, solar protector factor) si riferisce infatti solamente agli UVB, che rappresentano circa 5% dei raggi ultravioletti che arrivano sulla superficie terrestre. Non ha nulla a che fare con il restante 95%, rappresentato dai raggi UVA.
I raggi UVB, che raggiungono solo gli strati più superficiali della pelle provocando le “scottature”, sono da sempre l’obiettivo principale della protezione della pelle. Ma sono gli UVA a penetrare più in profondità. Questi, raggiungendo il derma, provocano la produzione di radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cutaneo e di mutazioni genetiche: quindi, potenzialmente, di tumori della pelle. Affinché una crema solare sia efficace anche contro gli UVA, deve contenere dei filtri specifici e questo deve essere indicato sulla confezione (per approfondire l’argomento: “Creme solari: istruzioni scientifiche per l'uso” di Beatrice Mautino, YT channel).

Quali sono le sostanze dannose per l’ambiente
Nel 2014 un team di scienziati internazionali ha pubblicato una ricerca su Ecotoxicology (C. K.-W. Downs 2014), che evidenziava la tossicità di un composto chiamato ossibenzone (o BP-3) per le forme giovanili dei coralli (le planule, le loro larve) e altre forme di vita marina. A questo studio segue un ulteriore conferma nel 2016 (C. K.-W. Downs 2016): un lavoro pubblicato sulla rivista Archives of Environmental Contamination and Toxicology, che indica quattro principali effetti tossici per lo sviluppo del corallo:
•    maggiore suscettibilità allo sbiancamento
•    danni al DNA (genotossicità) 
•    crescita anormale dello scheletro 
•    grossolane deformità del “baby coral”

Il BP-3 si trova in più di 3.500 prodotti per la protezione solare in tutto il mondo. Ma le alternative sicure per l’ambiente esistono e gli autori concludono che sono fondamentali per proteggere le barriere coralline e limitare gli effetti aggravanti che si aggiungono al cambiamento climatico e all’acidificazione degli oceani.

Qual è l'impatto sulla conservazione della barriera corallina?
Per rispondere a questa domanda possiamo prendere ad esempio la distruzione delle barriere coralline nei Caraibi e nelle Isole Keys in Florida. A causa di diversi fattori, oltre l'80% delle barriere coralline dei Caraibi è scomparso dall'inizio degli anni '60 (Toby A. Gardner 2005). Secondo la U.S. Commission on Ocean Policy, le tre principali cause sono l'inquinamento, l’aumento delle temperature del mare e l'eccessivo sfruttamento delle risorse.
A questi fattori, a partire dagli anni ’60, si sono aggiunti quelli legati all’inquinamento di sostanze chimiche di sintesi come il benzofenone-2 (BP-2), già da allora utilizzato nei prodotti per la cura personale: era l'inizio della "rivoluzione dell'inquinamento chimico".
Il BP-2 non viene filtrato dalla maggior parte degli impianti di trattamento delle acque reflue e, per molte isole dei Caraibi così come nell’Indopacifico, questo scarico viene spesso rilasciato entro 500 metri dalle barriere coralline vicino alla costa.
La crescita stessa della popolazione umana e conseguentemente delle attività turistiche e balneari ha causato un aumento dell'inquinamento dovuto alle acque reflue. L’inquinamento da BP-2 dell'ambiente marino è quindi aumentato nel tempo e oggi sappiamo che a questo composto se ne sono aggiunti molti altri, come l’ossibenzone. È interessante notare come, dallo studio di Downs et al. (2016) sia emerso che l’inquinamento da ossibenzone si concentra maggiormente nelle zone balneari, ma è comunque presente sul reef fino 5-20 miglia dalla costa probabilmente a causa di infiltrazioni d'acqua dolce sottomarine che possono essere contaminate da liquami.

Gli scienziati hanno studiato in particolare gli effetti di queste sostanze sulle forme larvali (planule) del corallo Stylophora pistillata, nonché la loro tossicità in vitro. I suoi effetti negativi sono peggiori alla luce rispetto al buio ma, in entrambi i casi, l’ossibenzone ha indotto le planule di corallo a trasformarsi da planctoniche (ossia che si lasciano trasportare passivamente dalla corrente, condizione indispensabile per la riproduzione e la formazione di nuove colonie) a forme sessili (ferme sul fondo) e dalla struttura deformata. 

La soluzione? Esiste ed è alla portata di tutti
Il nostro Pianeta si è adattato a molti cambiamenti nella sua storia e le barriere coralline sono sopravvissute per più di 400 milioni di anni fino ai giorni nostri. Oggi, però, la velocità a cui questi cambiamenti avvengono non consente agli ecosistemi di adattarsi: gli oceani si scaldano troppo velocemente perché i suoi abitanti possano adattarsi e il nostro impatto è sempre più pesante. Siamo sempre di più e siamo ovunque. Questo ci dà una grande responsabilità.
Occorre quindi informarsi sugli ingredienti delle creme solari che utilizziamo e sui danni che questi possono fare all’ambiente. Alcune scelte possono essere molto di aiuto:
•    evitare di prendere il sole nelle ore più calde della giornata in modo da limitare la quantità di prodotti solari che utilizziamo in un giorno
•    utilizzare creme solari minerali, contenenti, per esempio, biossido di zinco come filtro solare principale
•    non usare protezioni solari spray: una parte di ciò che viene spruzzato si disperde nell’ambiente
•    controllare che la crema che stiamo per acquistare non contenga tra gli ingredienti il BP-2 e il BP-3

In questo “clima impazzito” è la nostra società che deve cambiare e ciascuno di noi può essere parte del cambiamento, facendo scelte consapevoli, ma che proteggano la nostra salute e gli ecosistemi.

Riferimenti
Downs, C.A., Kramarsky-Winter, E., Fauth, J.E. et al. "Toxicological effects of the sunscreen UV filter, benzophenone-2, on planulae and in vitro cells of the coral, Stylophora pistillata." Ecotoxicology 23 (2014): 175 - 191.
Downs, C.A., Kramarsky-Winter, E., Segal, R. et al. "Toxicopathological Effects of the Sunscreen UV Filter, Oxybenzone (Benzophenone-3), on Coral Planulae and Cultured Primary Cells and Its Environmental Contamination in Hawaii and the U.S. Virgin Islands." Arch Environ Contam Toxicol 70 (2016): 265–288.
Toby A. Gardner, Isabelle M. Côté, Jennifer A. Gill, Alastair Grant, Andrew R. Watkinson. "HURRICANES AND CARIBBEAN CORAL REEFS: IMPACTS, RECOVERY PATTERNS, AND ROLE IN LONG-TERM DECLINE." Ecology 86, no. 1 (2005): 174-184.


 

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